Adam B. Seligman, Robert P. Weller, Michael J. Puett e Bennett Simon, Rito e modernità. I limiti della sincerità. Trad. it. di Matteo Bortolini. Roma, Armando Editore, 2011.
Gli autori di questo libro innovativo e multidisciplinare prendono le mosse da una concezione che considera il rito come una modalità originaria e generale di inquadrare l’azione umana e, più in generale, di entrare in relazione con il mondo e gli altri attori sociali. Il rito, inteso come una sequenza di azioni codificate che l’attore non controlla mai completamente, si contrappone idealtipicamente alla sincerità, vale a dire una modalità d’azione che punta ad allineare completamente agire ed esperienza interiore. Se da una parte non esiste mai un agire del tutto rituale o del tutto sincero, è anche vero che la nostra comprensione del rito va liberata dal pregiudizio teorico e valoriale che identifica l’agire rituale con l’ipocrisia e punta a una valorizzazione cognitiva e valutativa dell’immediata espressione di sé. Secondo gli autori del volume il rito va invece compreso nella sua essenza più autentica e profonda: l’atteggiamento rituale consente infatti di costruire molteplici mondi soggiuntivi, mondi cioè in cui vale un “come se” che permette agli uomini di condividere esperienze e azioni e di empatizzare gli uni con gli altri. Con il suo carattere ripetitivo, il rito permette, dall’altra parte, di riconoscere, e di venire a patti con, il carattere corruttibile e imperfetto del mondo. Il rito è un fare che fa e rifà il mondo, quello materiale e quello delle relazioni umane.
Gli autori sviluppano il tema generale del volume seguendo direzioni e ispirazioni diverse. Una serrata analisi del parallelo tra rito e gioco, permette di sottolineare il diverso modo in cui rito e sincerità sono in grado di stabilire e mantenere i confini su cui si basano l’identità e la comprensione di sé degli attori individuali e collettivi. Il mondo “così com’è” della sincerità punta a una dissoluzione dei confini (per esempio nel concetto di “diritti umani”) o a un loro irrigidimento (come avviene nella politica etnica o religiosa dei diversi fondamentalismi attuali). L’atteggiamento rituale permette invece di creare confini stabili ma porosi, grazie ai quali individui e gruppi sono in grado di riconoscersi come differenti e al tempo stesso di entrare in relazione senza perdere la propria specificità. L’analisi delle cosiddette “perversioni” e delle forme religiose permette agli autori di ampliare la loro analisi della contrapposizione idealtipica tra rito e sincerità in vista della sua applicazione ad ambiti culturali e sociali apparentemente lontani tra loro: letteratura (con una interpretazione del Mercante di Venezia di Shakespeare), architettura (con una discussione del ruolo dell’ornamento e della decorazione) e musica.
L’ultima parte del volume è dedicata a una lettura dei fondamentalismi religiosi come forme tipicamente “sincere” di intendere la vita e la credenza religiosa. Gli autori mostrano come l’ispirazione e la struttura dei movimenti fondamentalisti si fondi su un collasso dei mondi “come se” tipici del rito e punti invece a una piena corrispondenza di sentire e azione, di esperienza e agire, di interno ed esterno. La riconsiderazione della specificità del rito, in conclusione, è tanto più importante quanto più la società attuale vede il moltiplicarsi dei gruppi e delle esperienze in un quadro in cui difficilmente le questioni profonde dell’identità e della pratica religiose accettano di rimanere confinate nella sfera privata. Una società post-secolare deve essere in grado di riconoscere e valorizzare gli aspetti positivi del rito, in un continuo confronto riflessivo tra pratiche vecchie e nuove.